I LEGIONARI DI CRISTO - recensione
Alberto Athié, José Barba, Fernando M. González - La voluntad de no saber. Lo que sí se conocía sobre Maciel en los archivos secretos del Vaticano desde 1944, Grijalbo-Random House Mondadori, Mexico D.F. 2012.
Il
libro che vi presentiamo è stato pubblicato in castigliano con una tiratura di poche migliaia di
esemplari nel marzo 2012 ed è significativamente intitolato La volontà di non sapere. Ciò che veramente si conosceva su Maciel
negli archivi segreti del Vaticano dal 1944. Gli autori affrontano l'esame
di questi documenti da tre punti di vista: Fernando M. González,
sociologo e psicanalista, autore di un altro volume su Maciel, ne svolge
l'illustrazione e la ricostruzione cronologica, offrendo considerazioni
sull'atteggiamento e la reazione istituzionale della chiesa cattolica. Alberto
Athié presenta l'esperienza personale, spirituale ed ecclesiastica vissuta negli
ultimi 20 anni circa (esperienza che lo condusse ad abbandonare il sacerdozio
di fronte al muro di omertà e silenzi eretto intorno alle sue denunce nei
confronti del caso Maciel e in generale degli abusi sui minori nella chiesa). José
Barba (legionario di Cristo dagli 11 ai 24 anni e in seguito docente
universitario) riferisce l'iter di
denuncia alla Santa Sede dei crimini di Maciel da lui personalmente seguito
negli ultimi 15 anni.
L'immagine
di se stessa che la chiesa cattolica cerca in ogni modo di trasmettere,
specialmente in momenti di crisi come quello che da tempo questa istituzione
religiosa sta attraversando, è incentrata principalmente sulla figura della
santità, della perfezione e sulla metafora della "sposa di Cristo".
Tale declinazione della sua autorappresentazione, pur non avendo alcun
fondamento evangelico, ma provenendo dagli scritti di Paolo divenuti parte del
Nuovo Testamento, ha dato vita all'elaborazione di una serie di riflessioni
teologiche lungo i secoli. Una delle funzioni che tale immagine riveste,
particolarmente importante per l'attualità, è quella di consentire la
separazione tra l'istituzione, considerata appunto santa e perfetta come si
addice alla sposa di Cristo, e gli uomini che ne fanno parte, che sono
peccatori per definizione come tutti gli altri essere umani. In questo modo,
l'istituzione non viene messa in discussione, né in quanto tale, né nelle sue
articolazioni principali: anche se nel corso del tempo la struttura è cambiata
moltissimo e numerose volte, alcuni suoi elementi essenziali vantano
un'esistenza plurisecolare. Ad esempio, la presenza di soli uomini nelle
cariche di governo e di potere dell'istituzione, fenomeno che si è trasformato
nell'attribuzione esclusiva alla casta dei chierici, da un certo momento in
avanti celibi e appartenenti al rito latino, di ogni carica di questa natura.
Tanto che la chiesa cattolica, dal punto di vista istituzionale, costituisce
una struttura, definita teocratica o ierocratica nella sua configurazione
statuale e dimensione politica, governata da una casta maschile (come ha
recentemente chiarito Mauro Pesce).
Quest'immagine di perfezione e santità, tuttavia, che implica anche una sostanziale immutabilità, continuità e coerenza di fondo, non corrisponde alla realtà effettiva: non solo perché, come si è notato, nel corso della sua lunga storia la chiesa è cambiata, a volte profondamente, pur mantenendo quasi invariata per molti secoli una sua fisionomia essenziale (anche se in realtà le funzioni svolte e i contesti storici hanno spesso mutato le sue articolazioni); ma anche perché, per lungo tempo e pure in seguito a determinate svolte storiche, l'istituzione (che è pur sempre un prodotto della storia) ha strutturato, regolato e legittimato comportamenti contrari al rispetto dell'individuo, alla libertà, ai diritti essenziali degli esseri umani in quanto tali. Ciò anche in periodi in cui s'iniziava a sviluppare, in contrasto con gli insegnamenti del cattolicesimo ufficiale, la riflessione e la pratica, seppur imperfetta, dei diritti umani. Esempio classico di ciò è l'istituzione e la lunga vita dell'Inquisizione che, nonostante la ricerca storica abbia fornito una sua ricostruzione più aderente alla realtà collocandola nel contesto di riferimento, mantiene pur sempre un fondamentale carattere di "Tribunale della coscienza" (dal titolo dell'opera classica di Adriano Prosperi al riguardo), con tutte le conseguenze di censura, repressione e lotta alla libertà di pensiero e azione che ciò comportò (in presenza di altri orientamenti coevi, anche religiosi, che si muovevano in una direzione opposta). O anche la condanna solenne, ufficiale e teologica dei diritti umani proclamati dalla Rivoluzione francese, storicamente revocata solo con il Concilio Vaticano II e senza l'accettazione completa e totale delle conseguenze di tale revoca.
E tuttavia tale immagine, presente anche al fondo di una predicazione come quella di Bergoglio, l'attuale papa Francesco, solo apparentemente rivestita di una diversa colorazione e di accenti differenti rispetto a tale tema, viene continuamente riproposta perché trova la propria legittimità storica in secoli di propaganda istituzionale e di identificazione con il sentimento, il ragionamento e la pratica religiosa, che ne consentono l'espressione in un radicatissimo pregiudizio positivo. Ciò perché qualsiasi istituzione storica che intenda presentarsi come perfetta, morale e giusta, quando determinati comportamenti criminali sono non solo tollerati, ma coperti e legittimati dalla conformazione strutturale, dalle regole e dai meccanismi di funzionamento della stessa istituzione, entra in una crisi di legittimità. Se quest'istituzione non contiene in sé delle regole che possano intervenire in casi come questi, e soprattutto se non può contemplarle perché si tratta di un'istituzione totale o caratterizzata da una natura assoluta, senza separazione dei poteri, dall'assenza di uno Stato di diritto, la crisi di legittimità assume allora un carattere di estrema gravità. A maggior ragione, tale crisi è tanto più profonda nel caso di un'istituzione che si poggia su un'asserita origine divina, pretendendo di essere depositaria della verità sull'essere umano, della sua corretta interpretazione e dell'indicazione della sua morale.
Ciò che la rivelazione degli abusi compiuti da chierici, consacrati e consacrate e altri membri della chiesa cattolica ha messo chiaramente in luce non è solamente il carattere odioso di questi crimini, ma soprattutto la natura endemica, strutturale e storicamente persistente di tale fenomeno nell'istituzione in questione. La sua estensione temporale e geografica, infatti, esclude definitivamente ogni spiegazione in termini "episodici" (dovuti, cioè, alle classiche mele marce), o come localizzati solo in alcuni luoghi o causati dall'influenza di fattori esterni, come la cultura della liberazione sessuale della fine degli anni sessanta ecc. Per non parlare dell'impossibilità di assumere la negazione come atteggiamento sistematico, pure inizialmente e ripetutamente adottato dalle gerarchie della chiesa.
Come diversi studiosi hanno
recentemente dimostrato da una prospettiva multidisciplinare, tale fenomeno
degli abusi ecclesiastici sui minori non si comprende se non si tiene conto
della struttura della chiesa cattolica e di altri fattori interni (che ne
determinano le caratteristiche distintive rispetto agli abusi compiuti da
singoli individui o anche organizzazioni nella società civile), quali, fra
tutti, il clericalismo e la
conseguente mentalità clericale (tipica anche di buona parte del
"settore" dei fedeli laici, come Tom Doyle ha rilevato). La differenza tra l'immagine
propagandata dall'istituzione, quella percepita dai fedeli e dai pubblici
"esterni" e la realtà della chiesa cattolica, insieme al carattere
strutturale del fenomeno degli abusi sui minori, sono dimostrati da vicende
come quella di Marcial Maciel, di
Padre Murphy e dei religiosi dell'Istituto Provolo di Verona (le ultime due si
riferiscono ad abusi compiuti su sordomuti minorenni).
A proposito di Maciel e dei Legionari di Cristo disponiamo ora di un volume che consente una lettura, da prospettive diverse, ma complementari, di una serie di documenti conservati principalmente negli archivi vaticani e per la prima volta resi pubblici. Il libro, pubblicato in castigliano con una tiratura di poche migliaia di esemplari nel marzo 2012, è significativamente intitolato La volontà di non sapere. Ciò che veramente si conosceva su Maciel negli archivi segreti del Vaticano dal 1944. Gli autori affrontano l'esame di questi documenti da tre punti di vista: Fernando M. González, sociologo e psicanalista, autore di un altro volume su Maciel, ne svolge l'illustrazione e la ricostruzione cronologica, offrendo considerazioni sull'atteggiamento e la reazione istituzionale della chiesa cattolica. Alberto Athié presenta l'esperienza personale, spirituale ed ecclesiastica vissuta negli ultimi 20 anni circa (esperienza che lo condusse ad abbandonare il sacerdozio di fronte al muro di omertà e silenzi eretto intorno alle sue denunce nei confronti del caso Maciel e in generale degli abusi sui minori nella chiesa). José Barba (legionario di Cristo dagli 11 ai 24 anni e in seguito docente universitario) riferisce l'iter di denuncia alla Santa Sede dei crimini di Maciel da lui personalmente seguito negli ultimi 15 anni.
A proposito di Maciel e dei Legionari di Cristo disponiamo ora di un volume che consente una lettura, da prospettive diverse, ma complementari, di una serie di documenti conservati principalmente negli archivi vaticani e per la prima volta resi pubblici. Il libro, pubblicato in castigliano con una tiratura di poche migliaia di esemplari nel marzo 2012, è significativamente intitolato La volontà di non sapere. Ciò che veramente si conosceva su Maciel negli archivi segreti del Vaticano dal 1944. Gli autori affrontano l'esame di questi documenti da tre punti di vista: Fernando M. González, sociologo e psicanalista, autore di un altro volume su Maciel, ne svolge l'illustrazione e la ricostruzione cronologica, offrendo considerazioni sull'atteggiamento e la reazione istituzionale della chiesa cattolica. Alberto Athié presenta l'esperienza personale, spirituale ed ecclesiastica vissuta negli ultimi 20 anni circa (esperienza che lo condusse ad abbandonare il sacerdozio di fronte al muro di omertà e silenzi eretto intorno alle sue denunce nei confronti del caso Maciel e in generale degli abusi sui minori nella chiesa). José Barba (legionario di Cristo dagli 11 ai 24 anni e in seguito docente universitario) riferisce l'iter di denuncia alla Santa Sede dei crimini di Maciel da lui personalmente seguito negli ultimi 15 anni.
L'analisi di questi documenti
contiene numerosi riferimenti al contesto storico della vita della Legione di
Cristo e di Maciel, nonché della chiesa cattolica, ma non si tratta di un libro
di ricerca storica (anche se, a mio parere, costituisce un volume fondamentale
per una tale ricerca complessiva su Maciel). L'obiettivo degli autori è infatti
quello di dimostrare che le autorità
ecclesiastiche non solo locali, ma soprattutto centrali (il governo
centrale e universale della chiesa cattolica, ossia la Santa Sede) per oltre 50
anni ebbero a disposizione tutta la documentazione e le informazioni necessarie
per giungere a una condanna definitiva di Marcial Maciel; ma che tale condanna
non avvenne fino al 2006 (quando fu comunque parziale, lacunosa ed estremamente
reticente, senza comportare una sostanziale giustizia né implicare la tanto
richiesta verità).
Marcial
Maciel Degollado, sacerdote messicano, fu il fondatore della congregazione
dei Legionari di Cristo nel 1941 (allora diversamente denominata), che ottenne
il decreto di lode pontificio nel 1965 da Paolo VI e l'approvazione delle
costituzioni nel 1983 con Giovanni Paolo II. Diffusa in tutto il mondo, la
congregazione di Maciel costituì per la chiesa un serbatoio di vocazioni
sacerdotali e di raccolta di ingenti finanziamenti. Secondo la versione
ufficiale dei Legionari, egli fondò anche il movimento di apostolato Regnum
Christi. Maciel fu un abituale consumatore di stupefacenti, violentatore
seriale durante tutta la sua vita di numerosi membri minorenni della sua
congregazione (secondo le testimonianze finora raccolte, egli abusò
ripetutamente di circa una trentina di giovani), ebbe relazioni durature con
alcune donne (abusando così del proprio status sacerdotale), che condussero
alla nascita di alcuni figli, uno dei quali accusò di essere stato anch'egli
abusato dal padre. Alcuni dei seminaristi dei quali Maciel abusò sessualmente
furono assolti in confessione dallo stesso sacerdote messicano, atto per il
quale il diritto canonico prevede la scomunica latae sententiae.
Questo breve ritratto della vita di
Maciel, basato sulle testimonianze e sugli stessi, pur se reticenti e assai
tardivi, comunicati ufficiali della Legione e della S. Sede in anni
recentissimi, mette chiaramente in luce l'impossibilità, del resto già notata
dai suoi accusatori e dai critici, di poter sostenere una simile esistenza
nell'ambito di un'istituzione che si presenta come moralmente perfetta e santa
senza la complicità e la copertura istituzionale sia interna alla Legione sia
esterna (entro la chiesa cattolica nella sua dimensione locale - i vescovi
messicani - e in quella centrale - le autorità della S. Sede). Complicità,
protezione e copertura che per circa 60 anni garantirono a Maciel una totale
impunità (anche attraverso un tortuoso percorso fatto di "incidenti"
e rischi sempre superati dal prete messicano fino al 2006) e che, sia per
l'enormità degli eventi, la loro portata e per i personaggi coinvolti, sia per
la lunghezza temporale, non possono che essere ricondotte alla struttura stessa
della chiesa cattolica (come del resto amaramente confermano tutti gli altri
casi di abusi sessuali sui minori giunti alle autorità centrali della chiesa
insieme a quelli invece trattati a livello solamente locale).
Per quanto riguarda la struttura
interna dei Legionari e del movimento Regnum Christi, bastino solo due
riferimenti presenti nel Prólogo e nel primo saggio del volume
(rispettivamente di Bernardo Barranco e di González alle pp. 14 e 44-49, 59-62):
da questi emerge l'immagine di una struttura caratterizzata
dall'assolutizzazione dell'autorità, dalla totale mancanza di libertà e di
riconoscimento dei diritti individuali, dal conseguente controllo dei propri
membri, ottenuto, ad esempio, attraverso il voto di obbedienza e quello di
carità che consentivano l'omertà istituzionale fondata sul silenzio e la
complicità, dalla violenza istituzionale e dal culto della personalità del
fondatore. Caratteristiche queste, sia detto per inciso, analoghe, pur nelle
debite differenze e nonostante la diversità dei presunti carismi, a quelle di
un'altra istituzione della chiesa, la prelatura personale dell'Opus Dei. Anche
qui è difficile immaginare che nessuna autorità, all'interno della chiesa
cattolica, conoscesse la reale situazione di queste due realtà ecclesiali (solo
per fare due esempi particolarmente calzanti). Non è un caso, infatti, che
entrambe, i Legionari e l'Opus Dei, ottennero il riconoscimento ufficiale da
parte della S. Sede (l’Opus Dei nel 1982, ossia solo un anno prima dei
Legionari), atto che, in sostanza, è il riconoscimento dell'immagine stessa
della chiesa in quelle realtà. E dal punto di vista istituzionale, la chiesa
non è altro che una struttura caratterizzata dalla presunzione dell'origine
divina, dal culto della personalità del suo capo, il papa, dalla gerarchia e
l'esaltazione del principio dell'autorità, dalla mancanza di riconoscimento dei
diritti umani al proprio interno per la sua stessa natura. E ciò emerge
nonostante, anzi proprio grazie agli sforzi attuali di Bergoglio di offrire
un'immagine differente e "non istituzionale", utilizzando, tuttavia,
tutti gli strumenti adeguati a tali meccanismi.
Quelli presentati e analizzati nel
libro dai tre autori costituiscono una selezione di 212 documenti su Maciel e
sui Legionari di Cristo provenienti in gran parte dall'Archivio della
Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica
(la vecchia Sacra Congregazione dei Religiosi) e relativi al periodo 1944-2002.
Si tratta della parte meno conosciuta e meno commentata, specialmente in
Italia, dei cosiddetti Vatican leaks, ma che certamente ne
rappresenta una delle più scandalose e sostanziali. L'intera documentazione è conservata e consultabile online. Un'avvertenza
preliminare va fatta: data l'impossibilità di consultare gli originali (come è
noto, gli archivi vaticani sono aperti fino alla morte di Pio XI, cioè fino al
febbraio del 1939, alcuni disponibili per un periodo minore, altri del tutto
inaccessibili alla data attuale), si pongono alcune questioni sulla loro
provenienza e natura. In merito all'autenticità, è mancata una reazione o un
commento ufficiale della S. Sede alla loro pubblicazione o una smentita
ufficiale della loro natura: non vi sono, quindi, allo stato attuale, ragioni
decisive che facciano ritenere che si tratti di documentazione non autentica.
Al contrario, un primo, rapido esame del contenuto, stile e degli aspetti
formali di tali documenti fa ritenere che si tratta di scritti autentici.
D'altra parte, se così non fosse, la chiesa avrebbe avuto un'occasione
irripetibile per denunciare, come è sua abitudine, l'esistenza di un complotto
ai propri danni. Cosa, è bene ripeterlo, nello specifico mai avvenuta. Né, per
rimanere in tema di ipotesi complottistiche, è plausibile pensare che gli
autori, dopo aver avuto dalla stessa chiesa la conferma ufficiale, anche se su
molti aspetti reticente, delle proprie accuse abbiano avuto interesse a
"creare" degli ipotetici falsi così ben strutturati e organizzati.
Cosa emerge da tutta questa
documentazione? Non è possibile diffondersi in questa sede in un'analisi
esaustiva dei documenti presentati. Faccio solo riferimento ad alcuni aspetti
che, a mio parere, risultano interessanti e che giustamente sono evidenziati
dagli autori. Le prime notizie negative e le prime accuse a Maciel pervengono
alla congregazione vaticana già alla fine degli anni quaranta. Negli anni cinquanta a Roma vengono a conoscenza
dell'uso abituale di morfina da
parte del prete messicano e le autorità ricevono le accuse di abusi sessuali su minori (rubricate in
forma diversa in conformità con le procedure canoniche). Ciò conduce alla
sospensione di Maciel dall'incarico di Superiore generale nel 1956 e a una
serie di visite apostoliche al suo Istituto, alcune delle quali concludono con
un giudizio favorevole accettato dalla Congregazione per i Religiosi, che
decreta la sua riabilitazione con determinate limitazioni. All'inizio degli
anni sessanta nuove accuse contro Maciel convincono la Congregazione della
necessità di deporre il prete messicano, nominando un nuovo Superiore dall'esterno
dell'Istituto; ma questi provvedimenti non giungono all'allora pontefice per un
intervento diretto della Segreteria di Stato. Intorno alla metà degli anni
settanta, due ex appartenenti alla cerchia dei collaboratori più stretti di
Maciel denunciano i suoi crimini all'interno dei Legionari di Cristo. Queste
denunce giungono poi, tramite un vescovo, al Delegato Apostolico per gli Stati
Uniti che le invia alla Congregazione per i Religiosi nel 1979 (che a
quell'epoca aveva assunto l'attuale denominazione). Come fa notare González
a quella data, subito dopo l'elezione di Giovanni
Paolo II, la Congregazione vaticana aveva in mano tutta la documentazione
necessaria per giungere a una valutazione complessiva negativa su Maciel. Cosa
che non si verificò. Anzi, nel 1983 il papa, come s'è visto, approvò le
costituzioni dei Legionari.
Nel 1997 alcuni ex legionari
pubblicarono una lettera aperta a Giovanni Paolo II, denunciando i crimini di
Maciel, in particolare gli abusi sessuali che avevano subito dal prete
messicano. Nell'ottobre 1998 José Barba insieme ad altri si recò al Palazzo
dell'ex Sant'Uffizio a Roma, presieduto dal card. Ratzinger, presentando la
denuncia contro Maciel e incontrando brevemente lo stesso Ratzinger. Nel
febbraio 1999 la domanda ufficiale di denuncia fu presentata alla stessa
Congregazione per la Dottrina della Fede. Anche Alberto Athié inviò nel 1999
una lettera a Ratzinger con gravi accuse a Maciel. La risposta di Ratzinger, così come fu riportata ad
Athié, si può leggere alla p. 199 del volume e non si trattò certo di una
decisione di condanna, tutt'altro. Le denunce giunsero nel 2002 anche al
segretario del papa, Stanislaw Dziwisz. Solo nel 2005, Ratzinger decise di
agire, aprendo finalmente la procedura degli interrogatori ai testimoni tramite
Charles Scicluna, promotor justitiae
della Congregazione da lui presieduta. Il 19 maggio 2006, quando Ratzinger è
già stato eletto papa con il nome di Benedetto XVI, un comunicato ufficiale
della Sala Stampa della Santa Sede su Maciel informava che le accuse contro di
lui erano state ricevute dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dal
1998 e, tra l'altro, che Ratzinger aveva «autorizzato una investigazione delle
accuse» dopo l'aprile del 2001, ossia intorno al 2005. Dall'esame dei risultati
dell'investigazione - proseguiva il comunicato - il nuovo prefetto della
Congregazione, Levada, aveva «deciso
- tenendo conto sia dell’età avanzata del Rev.do Maciel che della sua salute
cagionevole - di rinunciare ad un processo canonico e di invitare il Padre ad
una vita riservata di preghiera e di penitenza, rinunciando ad ogni ministero
pubblico. Il Santo Padre ha approvato queste decisioni». Il comunicato si
concludeva con il riconoscimento di gratitudine per l'apostolato dei Legionari
e del Regnum Christi «indipendentemente dalla persona del Fondatore» (sempre
indicato nei suoi epiteti, si noti, con la maiuscola. Il testo integrale del
comunicato è disponibile sul sito ufficiale della Santa Sede).
Da lì in avanti si aprì la serie delle visite apostoliche e la successiva nomina del delegato Velasio De Paolis, che tuttavia non ha finora portato a una vera riforma della Legione. Quest'ultimo, infatti, ha deciso di proseguire sulla strada del riconoscimento parziale dei crimini di Maciel e del contemporaneo mantenimento in vita della congregazione dei Legionari di Cristo e del Regnum Christi, confermando gran parte della classe dirigente "maceliana" nella direzione dell'istituzione, senza indagare sulle complicità all'interno della Legione. Solo nel maggio 2010 un comunicato della Santa Sede, dal tono ampiamente autoassolutorio, riconosceva ufficialmente che Maciel aveva commesso alcuni crimini e adottato comportamenti immorali gravissimi «confermati da testimonianze incontrovertibili» (Il testo integrale del comunicato è disponibile sul sito ufficiale della Santa Sede).
Da lì in avanti si aprì la serie delle visite apostoliche e la successiva nomina del delegato Velasio De Paolis, che tuttavia non ha finora portato a una vera riforma della Legione. Quest'ultimo, infatti, ha deciso di proseguire sulla strada del riconoscimento parziale dei crimini di Maciel e del contemporaneo mantenimento in vita della congregazione dei Legionari di Cristo e del Regnum Christi, confermando gran parte della classe dirigente "maceliana" nella direzione dell'istituzione, senza indagare sulle complicità all'interno della Legione. Solo nel maggio 2010 un comunicato della Santa Sede, dal tono ampiamente autoassolutorio, riconosceva ufficialmente che Maciel aveva commesso alcuni crimini e adottato comportamenti immorali gravissimi «confermati da testimonianze incontrovertibili» (Il testo integrale del comunicato è disponibile sul sito ufficiale della Santa Sede).
Le domande che sorgono dalla lettura
e illustrazione di questi documenti sono veramente pressanti e attendono una
risposta che vada oltre le reticenze, le giustificazioni e le affermazioni
insostenibili: perché le autorità vaticane, pur avendo a disposizione una
simile documentazione, non intervennero mai sino al 2005? Perché non fu mai
aperto un processo canonico contro un
simile criminale, come lo stesso diritto canonico prevedeva, ed è stato invece
deciso di applicare una sanzione lievissima (la vita di preghiera e penitenza
dovrebbe essere già parte dell'esistenza dei sacerdoti) rispetto ai crimini
compiuti, adducendo a giustificazione l'anzianità e le precarie condizioni di
salute di una persona che, ricordiamolo, aveva abusato di minorenni e faceva
uso costante di droghe? Come è possibile mantenere in vita una congregazione e
un movimento fondati e diretti per decenni da un violentatore di minorenni,
tossicodipendente e, pur essendo sacerdote di rito latino, padre di numerosi
figli avuti da diverse relazioni? Come è possibile liquidare la questione delle
complicità della classe dirigente dei Legionari di Cristo e delle analoghe
complicità delle autorità vaticane? Come può Ratzinger, che pure si rifiutò di
partecipare alla messa in onore di Maciel a Roma nel 2004 (anche se nel 2001, a
quanto risulta da questo libro a p. 229, aveva presentato i suoi auguri a
Maciel per il prossimo compleanno), sostenere di essere venuto a conoscenza di fatti
concreti solo nel 2000 (cfr. il suo libro-intervista con Peter Seewald Luce del mondo), quando invece i
documenti fondamentali erano a disposizione nel dicastero competente già dal
momento in cui egli si insediò come Prefetto della Congregazione (in realtà da
molto prima), mentre le accuse contro Maciel divennero pubbliche nel 1997 e nel
1998 alcuni dei denuncianti si presentarono a Roma, nella sua sede,
incontrandolo?
Per quanto potranno emergere in
futuro ulteriori documenti sulla vicenda - e ci auguriamo che tutti i documenti
vengano finalmente pubblicati nella loro interezza -, che possano ipoteticamente
dimostrare una qualche azione del teologo tedesco orientata verso una possibile
apertura di un processo interno contro Maciel - e finora non sono emersi -, ciò
che si può con certezza affermare è che Ratzinger non prese alcuna iniziativa
per una denuncia pubblica o alle autorità
civili del criminale Maciel, come è dovere morale di chiunque venga a
conoscenza di tali reati, a maggior ragione di un sacerdote, cardinale e capo
dell'istituzione della chiesa che ha il compito di «promuovere e di tutelare la dottrina della fede e i costumi in tutto
l’orbe cattolico» (dal profilo della Congregazione per la Dottrina della Fede
sul sito della Santa Sede). In ciò egli era impedito dalla totale
accettazione delle regole e della prassi secolare della chiesa cattolica al
riguardo, che pone al di sopra di ogni considerazione la tutela del buon nome
del clero e dell'istituzione, ritenendo la violenza di questo tipo un peccato e
non un reato e considerando l'abuso, compiuto anche solo in occasione della
confessione (la sollicitatio), come
un abuso del sacramento e non della persona. Inoltre, per tutto il periodo in
cui fu a capo della Congregazione, Ratzinger non aprì mai ufficialmente la
causa nei confronti di Maciel se non poco prima che morisse Giovanni Paolo II;
se anche vogliamo accettare il 1997-98 come data in cui egli venne a sapere
delle accuse divenute oramai pubbliche (come se nulla fosse mai emerso in
precedenza), il lasso di tempo trascorso fino al 2005 è veramente troppo lungo
e inaccettabile.
Ma la posizione di colui che poi
divenne Benedetto XVI è ancor più grave e ingiustificabile, se si tiene conto
di altre considerazioni. In occasione del processo di beatificazione di
Giovanni Paolo II, la questione Maciel (di cui, ricordiamolo, il papa polacco
fu amico, come di altri preti violentatori di minori), sorse inevitabilmente.
Dalle dichiarazioni ufficiali si apprende che egli non fu a conoscenza dei crimini
del prete messicano. Tesi insostenibile, soprattutto perché non supportata da
alcuna documentazione pubblica a suo sostegno e in presenza, invece, di
documentazione disponibile che, almeno nel momento della pubblicità delle
accuse, poteva essere consultata facilmente dal capo della chiesa cattolica. Ma
se volessimo accettare, anche solo per un momento, questa giustificazione, ne
verrebbe fuori una conseguenza inevitabile: non potendo affermare che nessuno
in Vaticano sapesse della vicenda di Maciel quando questa era ormai divenuta di
pubblico dominio, non rimane altro che ritenere che i collaboratori più stretti
del papa non lo informarono a questo riguardo. E tali collaboratori
corrispondono proprio ai nomi di Ratzinger, Dziwisz, il segretario di Stato
Sodano... E' ancora possibile, a questo punto, accettare l'autodifesa di
Ratzinger, peraltro debole, recentemente sostenuta dal papa emerito nel suo
dialogo con Odifreddi, di non aver mai coperto gli abusi dei chierici nei
confronti dei minori («Mai ho cercato
di mascherare queste cose», abusi, tra l'altro, incredibilmente definiti
"morali")?
O l'altra sua dichiarazione, veramente assurda - per usare un eufemismo - e
spiegabile, ma non giustificabile, solo in un contesto clericale, rilasciata
nel 2010 a Peter Seewald secondo cui Maciel rimaneva per lui una figura enigmatica?
Certamente nella chiesa cattolica
non è possibile sapere completamente tutto di tutti; ma la situazione che
rappresenta lo scandalo Maciel è totalmente diversa. E rimane sempre il fatto,
come denuncia il titolo di questo volume, che ciò che è mancato è stata proprio
la volontà di sapere e di cercare la documentazione laddove esisteva in
abbondanza. La figura di Maciel tornerà a gettare discredito sulla chiesa fino
a che non si farà definitiva chiarezza, accettando di chiamare le cose con il
proprio nome e di riconoscere con trasparenza la rete di complicità, di
coperture, di silenzi e di protezione di violentatori e abusatori di minorenni.
Quanti altri casi Maciel dovremo scoprire prima che la chiesa cattolica
riconosca la reale dimensione del fenomeno e la sua natura strutturale che
richiede una soluzione radicale, ben lontana dal poco finora realizzato (e attuato
sostanzialmente con la finalità di una pulizia dell'immagine dell'istituzione)?
Quello che per ora rimane, oltre a
tutte le numerose testimonianze, sono le inaccettabili manifestazioni di lode e
plauso che circondarono Maciel fino a pochi anni prima della sua scomparsa,
avvenuta nel 2008: quelle di Giovanni Paolo II, che nel 1994 in occasione del
cinquantenario della sua ordinazione, lo definì una guida efficace per coloro
che lo seguirono (Carta de su Santitad Juan Pablo II al padre Marcial Maciel Degollado con ocasión del 50 aniversario de su ordenación sacerdotal).
Oppure di Tarcisio Bertone, il quale
addirittura nel 2004, quando ormai le denunce erano pubbliche, scrisse una
prefazione a un libro-intervista al sacerdote criminale, lodandolo per la sua
dedizione alla chiesa e il suo amore per Cristo (in cui, ad es., affermava che «la chiave di questo successo è,
senza dubbio, la forza di attrazione dell’amore di Cristo, che ha spinto sempre
P. Maciel e la sua opera a non lasciarsi vincere dalle avversità, che non sono
mancate nella loro storia», in Colina Jesús, La mia vita è Cristo.
Intervista a Marcial Maciel, Roma, Art 2004).
O
ancora del papa polacco, che il 31 gennaio 2005 inviava un messaggio ai
Legionari in cui esaltava l'opera di Maciel come contrassegnata dalla
«formazione della gioventù in solidi principi cristiani e umani che, fondati
sulla libertà e responsabilità personale, contribuiscano alla sua maturità
spirituale, sociale e culturale, nella fedeltà al Magistero e nella piena
comunione con il Papa» (Messaggio del
Santo Padre in occasione del Capitolo Generale della Congregazione dei
Legionari di Cristo, 31.01.2005).
E che pochi mesi prima, in occasione dei 60 anni di sacerdozio del prete
violentatore, lo riceveva in udienza insieme ai Legionari e ai membri del
Regnum Christi, impartendogli la propria benedizione (Udienza ai Legionari di Cristo e membri del movimento "Regnum
Christi", 30.11.2004, sul sito ufficiale della Santa Sede).
Tommaso Dell'Era
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